La parola d’ordine per tanti settori pubblici e commerciali è ESPERIENZA.
Nell’editoria, che sta vivendo una profonda crisi, a parte il Covid, si parla di cambiare l’approccio al lettore offrendogli una esperienza di lettura che lo coinvolge, che lo rende partecipe del valore degli articoli, che lo ascolta e gli fornisce risposte. Per molti esperti è l’unica strada che può migliorare i conti economici disastrati delle società editoriali.
Nella imprese si punta tutto sull’esperienza del cliente prima, durante e dopo che ha visitato il sito web o un centro commerciale.
La politica è meglio lasciarla perdere perché è sicuro che si cade in espressioni forti quando si deve parlare di esperienza del cittadino-elettore.
Poi c’è il turismo che è ormai da anni che i marketing manager ci raccontano che il turista vuole vivere una esperienza ed è disposto a pagarla. Visti i risultati prima e durante il Covid direi che l’esperienza di come si offre l’ESPERIENZA è ancora una formula di annunci più che un atteggiamento maturo e consapevole.
Se analizziamo la realtà dei fatti e delle cose l’esperienza è molto diversa dagli annunci e dai presupposti organizzativi che animano i tanti soggetti (imprese e Enti) che, attraverso il canale della comunicazione esperienziale, tentano di mitigare le perdite di ricavi oltre che di immagine e reputazione. Basta consultare i report estratti dalle piattaforme digitali per rendersi conto che la Customer satisfaction è più un'ambizione che un sano presupposto di successo.
Tutti, se non capiremo bene che dobbiamo cambiare approccio al mercato e ai servizi (pubblici e privati) erogati, finiremo prima di tutto per soccombere perché i consumatori andranno da altre parti vagando nelle praterie di internet e poi perché le conseguenze economiche causate dalla pandemia sanitaria Covid-19 ci toglieranno anche la fantasia di come si crea una esperienza positiva di vita.
L’esperienza più forte che vedo davanti a me è tentare di sopravvivere a questo disastro.
Mi sto chiedendo da febbraio scorso quanto potrà incidere il nostro sistema burocratico e scarsamente preparato nella logistica dell’emergenza nella corretta gestione della pandemia. Ovvero la nostra burocrazia in che modo potrà migliorare o peggiorare la nostra esperienza a contatto con il Covid-19?
Oggi gli italiani stanno facendo la loro ESPERIENZA in rapporto al contagio da Covid e nella gestione di una crisi mondiale che tuttavia ogni Paese cerca di gestire al meglio (secondo loro) per mitigare il disagio della popolazione.
Dalla mia esperienza diretta rilevo che esiste un grande scollamento nell’organizzazione sanitaria e nella gestione dei processi di assistenza.
Da che cosa può dipendere? Dalla burocrazia? Dalla scarsa attitudine delle organizzazioni pubbliche a gestire attività complesse in modo integrato e digitale? Dalla mancanza di un protocollo di gestione del processo amministrativo Covid?
I sanitari si organizzano i loro protocolli di cure, studiano e si adeguano agli standard nazionali e mondiali velocemente pur di salvare quante più vite possibile.
Poi cadi in mano alla burocrazia che gestisce i servizi ed è la fine. Il sistema collassa su se stesso creando pasticci ingestibili con la normale logica.
Non è accettabile che ogni volta bisogna chiamare la Protezione civile e i militari per coprire attività ordinarie come fare i tamponi o montare tende per distribuire pasti al personale delle ambulanze in attesa di poter consegnare i pazienti al Pronto soccorso. Perché questo stiamo vedendo in varie città.
Anche i pazienti Covid stanno facendo la loro esperienza, già gravata dallo stato di salute, insieme al personale sanitario che fa quello che può con i mezzi a disposizione.
Poi c’è l’esperienza dei familiari che provano a chiamare i numeri indicati nei siti web delle aziende sanitarie o indicati nelle comunicazioni formali senza ricevere alcuna risposta. Neanche un semplice buongiorno!
Sono questi dettagli, che diventano pesanti, a farci maturare un giudizio negativo sulla esperienza in relazione al servizio erogato. Ci stiamo perdendo in un bicchiere d’acqua.
Un call center avrebbe potuto espletare meglio il servizio di accoglienza a prescindere dal ruolo sanitario del destinatario della richiesta. Il cittadino è davvero disorientato tra le sigle, i ruoli, le competenze. La burocrazia non può peggiorare anche questo stato di cose perché diventa un giustificativo arrogante per nascondere altre criticità organizzative alimentate dalla confusione delle idee.
Se ci dessero una semplice infografica che ci istruisce su chi chiamare (basti che risponda al telefono), mail da utilizzare (non indicare una mail nel 2020 è quantomeno un segnale di chiara inadeguatezza organizzativa e poco rispetto dei cittadini). Utilizzare Whatsapp forse sarebbe troppo per queste organizzazioni sanitarie abituate a timbri e firmi ma non andrebbe trascurato se al centro si pone l’esperienza del cittadino e del paziente.
L’esperienza di rimanere isolati a casa senza risposte non può essere giustificata dalla quantità di chiamate da svolgere o dal poco personale impiegato. Poi sarebbe interessante vedere i numeri veri di questi processi. Oggi tutto è monitorabile, comprese le chiamate in entrata/uscita svolte da un’utenza telefonica. Se il carico di lavoro è elevato si opera aumentando il personale, ma serve che i dati siano disponibili altrimenti la percezione che rimane impressa nella testa del cittadino è che il servizio non è adeguato.
Tutto è esperienza e tutto è migliorabile. Ma se questa è la situazione vuol dire che i processi messi in atto da norme nazionali e regionali non si integrano e non dialogano mediante piattaforme di collaboration che aiuterebbero a velocizzare la gestione delle crisi fornendo risposte puntuali agli utenti.
Tutte cose fattibilissime e facilmente implementabili visto il tempo che abbiamo avuto da febbraio ad oggi per organizzarci. Più che i soldi è mancata la capacità di interrogarsi sui reali bisogni e sui modi per affrontarli.
D’altronde era ed è prevedibile che se il medico di famiglia non svolge più le visite domiciliari i pazienti finiscono per chiamare il 118 andando ad intasare il Pronto soccorso cittadino. Anche per patologie che possono essere curate a casa.
Ogni esperienza richiama una forza positiva o negativa che diventa la leva principale su cui si basano tutte le nostre scelte che sono conseguenti a come ci trattano, come ci aiutano, come ci forniscono risposte in una logica di interazione civile capace di far sentire le Istituzioni e le imprese vicine ai cittadini.
Solo con un cambio di atteggiamento serio, sincero e impegnato da parte dello Stato e delle imprese i consumatori e i cittadini torneranno a sviluppare la fiducia di cui ha bisogno un Paese per crescere. Se iniziamo subito forse ce la possiamo fare.
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