ADOTTA UN PICCOLO PAESE e riceverai in dono una vita migliore.
- Sandro Usai
- 27 ago 2020
- Tempo di lettura: 5 min

Domenica 9 agosto a Villaputzu si è svolto il Festival delle launeddas che in questa edizione ha visto la presenza della Fondazione Maria Carta con il progetto Freemmos, nato per combattere lo spopolamento dei nostri paesi.
Nell’intervista rilasciata a Giacomo Serreli il presidente della Fondazione, Leonardo Marras, ha messo l'accento forte sulle conseguenze dello spopolamento dei piccoli centri.
Il fenomeno non è facile da contrastare e le azioni, oltre gli annunci, sono poche e disordinate.
I piccoli centri, a parole tutti gli vogliono, di fatto sono indeboliti da decenni di non politiche che hanno favorito lo spopolamento e oggi sono senza i servizi essenziali, avviati a diventare fantasmi urbani senza voce e senza volto.
Temo che se prosegue questo trend sarà difficile salvarli e il loro destino è segnato a meno che non invertiamo la direzione di quello che chiamiamo sviluppo che, a parte quello tecnologico, mostra molti aspetti discutibili per futuro della Terra e dell'uomo.
In tanti dibattono sulle soluzioni utili per garantire la sopravvivenza di questi piccoli centri ricercando modalità lungimiranti capaci di mitigare il problema senza risolverlo.
Abbiamo la legge che istituisce i Borghi di Sardegna ferma nei cassetti dell'assessorato regionale al turismo. La Tachipirina del turismo e la destagionalizzazione sempre annunciate non sono mai arrivate e ad oggi mancano anche le condizioni perché questi centri assumano un ruolo attivo e propulsivo per loro stessi, prima di tutto.
Hanno chiuso molte scuole, gli uffici postali, gli sportelli bancari, tagliato i trasporti, preclusa la banda ultralarga.
Ci manca solo che gli tolgono l'acqua e l'energia elettrica così possiamo accelerare la loro estinzione. E non mancano le voci che dicono che si sono suicidati in una festa paesana!
Non so se esiste la possibilità di salvare queste comunità ma di una cosa sono certo: in questo modo soccomberanno presto tra l'indifferenza delle Istituzioni e di tanti sardi.
Ecco perché è lodevole il progetto Freemmos che ricerca i modi come proteggere la storia e l'identità di queste comunità che meritano attenzione e sostegno perché sono custodi di valori culturali che non devono essere dispersi in nome dello sviluppo sottomesso alle logiche di mercato insensibili alla tutela delle culture e delle persone.
Per mantenere vive queste piccole comunità è necessario creare opportunità di scambio e di interesse promuovendo l'insediamento di giovani insieme alle presenze di visitatori e, dove è possibile, di turisti o ancora meglio di permanenze lunghe.
Allora che cosa possiamo fare concretamente? Quali idee e progetti possiamo mettere in campo per creare un filo di vita dignitoso capace di dare un futuro e uno scopo ai loro abitanti?
Penso che prima di tutto dovremmo prevedere di tutelare le comunità come beni identitari al pari della lingua sarda. Le architetture degli edifici non rappresentano un mero schema urbanistico. Sono l’immagine di una comunità che ha vissuto e come tale va preservata rigenerandosi. Un po’ come il lievito madre che va accudito con amore affinché il processo chimico che lo mantiene in vita non si esaurisca!
Arte, enogastronomia, cultura, storia, archeologia, simbolismo, leggende, wedding, wellness, trekking, agricoltura sono solo alcune delle attività che possono ravvivare i piccoli centri e le loro comunità inducendo le persone a insediarsi o a rimanere perché coinvolti attivamente. Un esempio interessante è il progetto Happy Village avviato dal Comune di Fluminimaggiore con la sapiente regia del sindaco Marco Corrias.
A questo possiamo aggiungere la capacità insita in queste comunità di sviluppare una forma di turismo curativo della mente che sono in grado di offrire con la forza e la bontà di cui sono impregnati nel loro stile di vita solidale, naturale, lento, a contatto con la natura e con il prossimo, partecipato.
Con la scomparsa prevista di ben 31 piccoli centri entro i prossimi 60 anni (fonte La Nuova Sardegna) è necessario domandarsi seriamente se davvero siamo davanti all’ineluttabilità della storia oppure se ci sta a cuore il problema (ammesso che lo sia per tutti!) come lavorare per conservare un pezzo di storia e cultura che appartiene a ognuno di noi.
Mi piacerebbe leggere di idee utili per animare la comunità più che per conservare forme di musei in ricordo di chi ci ha abitato, sognato, vissuto, sofferto, gioito, lavorato, lottato.
Contrastare la curva demografica è davvero difficile visto che tutto il nostro Paese è in declino. In una logica collegata ai più deboli posso dire che i piccoli centri sono solo la punta dell’iceberg della contrazione delle nascite che inevitabilmente portano alla scomparsa delle popolazioni per consunzione. Questa è una forma di guerra subdola che lavora sulla distanza e ottiene comunque i suoi risultati, con il lavoro paziente, conseguente a chi nelle Istituzioni non ha mai visto il problema iniziato molti decenni or sono negando di porre rimedio e azioni di contrasto.
Basta pensare che in questi piccoli centri sono rimasti prevalentemente gli anziani. I giovani sono stati cooptati per lo sviluppo delle grandi aree metropolitane offrendogli un lavoro per la sopravvivenza.
E quelli che non accettano questa offerta, quando c’è, in genere scelgono un volo di sola andata per un altro Paese europeo.
Senza l’uomo che abita i luoghi questi tornano deserti, magari fioriti, ma sempre deserti che sotterrano culture millenarie. Eppure i tempi che stiamo vivendo ci mostrano i vantaggi di mantenere aperte e vive molte aree rurali.
Diciamo pure che i primi segnali che mostrano una certa criticità sociale del nostro modo di vivere compressi in aree a forte urbanizzazione, spesso inquinate, ce li ha mostrati il Covid-19.
Ma a parte la distanza sociale da mantenere per mitigare il contagio da coronavirus, che è diventata una forma di autodifesa, in questi mesi stiamo toccando con mano che esiste una forte debolezza di tutto il sistema economico che fa finta di voler ripartire ma come un pugile suonato torna al tappeto al primo gancio rappresentato dagli aumenti del numero di contagi.
E quando uno finisce a terra per le più svariate vicissitudini della vita gli serve una forte solidarietà per rialzarsi e rimettersi in sesto per proseguire.
Ecco che i piccoli centri assumono un ruolo straordinario proprio per la loro capacità di sostenersi vicendevolmente con forme di solidarietà umana che nei grossi centri urbani sono affidate a associazioni organizzate e strutturate come le Caritas.
Nei piccoli centri la comunità fornisce conforto, sostegno, supporto, partecipazione. Questa forma di abbraccio del vicino di casa è meno presente nelle aree cittadine che si limitano a fornire la “busta”.
Visto lo stress creato da Covid-19 e l’impossibilità di curarsi in casa i nostri paesi possono diventare luoghi per cure senza medicine. Sicuramente hanno una forza capace di inalare benessere interiore facendoti riscoprire i ritmi lenti e il gusto della vita. Una forma di medicina omeopatica dell’essere alla ricerca dei valori più intimi di quello che siamo. Dovremmo riconsiderare i nostri paesi come luoghi dove vivere e lavorare.
Sono consapevole che anche utilizzando i piccoli centri come luoghi di benessere a vocazione turistica o sociale non avremmo modo di garantire un futuro se non tornano i giovani supportati da politiche di sviluppo locale. Alla fine questo è il nodo da sciogliere.
Comments