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La democrazia e il governo dei dati


Giulia Loglio in posa di libertà
Foto - Giulia Loglio

Prendo spunto dalla chiacchierata avuta durante la puntata di Alle 9, condotta da Fausto Farinelli su icebergonair.it, mercoledì scorso.

Puntata interessante dove abbiamo potuto ascoltare il punto di vista di Alessandro Chessa, Data scientist di Linkalab, e Luca Tremolada, giornalista de Il Sole24Ore, che si occupa di giornalismo basato sui dati, sulla questione di come i dati impregnano la nostra vita sino a determinare la (messa in discussione) sospensione delle libertà personali su cui abbiamo costruito e basato il nostro sistema democratico.


La pandemia ci ha mostrato il lato ruvido dei dati utilizzati dal Governo per assegnare i colori come se fossero una cartina tornasole per determinare le misure di restrizione dei nostri movimenti sino a tenerci chiusi in casa senza possibilità di godere delle nostre libertà, come è avvenuto, a più riprese, a partire dalla primavera 2020.


Forse mai come in questo ultimo anno i numeri sono stati così presenti nel nostro spazio vitale e democratico.

Dipendiamo dai dati raccolti dalle strutture sanitarie regionali che ogni giorno alimentano il bollettino sullo stato dell’andamento dei contagi e dei morti.

E sulla base di queste rilevazioni numeriche il decisore politico ci attribuisce un colore che definisce che cosa possiamo o non possiamo fare.

Sempre i numeri sono utilizzati da tutti i politici per giustificare, forse a volte anche in modo un po’ codardo, le loro decisioni in merito alle restrizioni a tutela della nostra salute.


Ecco che diventa cruciale capire come si arriva ad avere i numeri che ci vengono esposti dalla Protezione civile. Come è stato detto durante la puntata radiofonica “ottenere i dati e elaborarli per qualificarli è un compito complesso”. Servono competenze statistiche, matematiche, di dominio nel campo a cui si riferiscono. Serve soprattutto trasparenza nei confronti dei cittadini se da quelle rilevazioni ne deriva una limitazione delle libertà personali e della capacità lavorativa.


Oramai non è più tollerabile ascoltare i politici che giustificano le loro decisioni abdicando il loro ruolo ad un foglio excel alimentato con dati senza conoscere i processi di raccolta e validazione.

A distanza di 14 mesi dal quel fatidico 8 marzo 2020 stiamo ancora aspettando chiarezza sui processi di raccolta, qualificazione e approvazione dei dati sanitari regionali. Siamo davanti a 20 procedure informatiche che gestiscono la sanità regionale che operano con standard diversi e senza un protocollo comune. La Interoperabilità così decantata in questi anni è andata a farsi benedire e sono emerse tutte le crepe di un sistema incapace di aprirsi al mondo esterno consentendo la raccolta delle informazioni di prima mano e leggibili dai computer. Eppure esiste la possibilità tecnica di creare porte di accesso per interrogare lo stato di un dato rilasciandolo in modo trasparente a cittadini e giornalisti (pochi) che sanno interrogarsi evitando di trasformarsi in amplificatori di note stampa senza senso.


Lo Stato non ha saputo porre la necessaria attenzione al fenomeno pandemico e si è fidato di quanto inviavano le Regioni dopo che gli Uffici regionali “sistemavano i dati”. Il risultato lo abbiamo potuto vedere con i fatti siciliani che ci hanno mostrato quella che ho già avuto modo di chiamare la truffa dei dati.

Lo Stato è stato incapace di mettere in atto azioni tali da mitigare al massimo il rischio di lavorare su dati sbagliati, o ancora peggio, edulcorati a scopo di propaganda o consenso.

Eppure esistono gli strumenti e i protocolli che consentono di evitare tali rischi.

Forse non è chiaro a molti che ad oggi le nostre libertà dipendono da processi di acquisizione dei dati che non prevedono sanzioni penali chiare per i trasgressori. Bastava applicare lo stesso rigore che è previsto per le elezioni che sono alla base del funzionamento democratico del nostro paese.


A distanza di oltre un anno, stremati dai continui cambi di stato che ci vedono sottoposti a continue restrizioni, i dubbi sul processo di raccolta e qualificazione dei dati sono ancora molti e irrisolti.

L’esempio di quello che è accaduto in Lombardia è emblematico del pasticcio: si è fatta una settimana in più con il colore rosso per gli errori di comunicazione dei dati da parte della Regione.


Ci rendiamo conto di quanto sta accadendo?

Siamo impregnati di dati ma non siamo in grado di verificarne la bontà e la rispondenza al vero.

La conseguenza è evidente a tutti: abbiamo rinunciato ai nostri diritti senza pretendere di sapere! Di capire!

Se questa situazione poteva forse essere accettabile all’inizio della pandemia, oggi diventa insostenibile poiché il disastro economico e sociale è sotto gli occhi di tutti, a patto che lo si voglia vedere. Sospendere ad libitum le libertà personali dei cittadini e il loro diritto al lavoro senza supportare questa decisione con dati chiari, verificabili e comunicati in totale trasparenza è un atto in palese contrasto con le regole democratiche del nostro Paese. L’esasperazione di intere categorie sociali rischia così di diventare una bomba ad orologeria che lo Stato sembra ignorare anche se è difficile pensare che non se ne sia reso conto. Dopo 14 mesi e il disastro economico e sociale che stiamo vivendo sarebbe importante ricordare cosa intende l’OMS per salute: “stato di benessere fisico, psichico e sociale, non semplice assenza di malattia


Siamo finiti in questo stato di emergenza per via di una precisa responsabilità politica che, nel corso degli anni, ha demolito la sanità pubblica e lasciato che prendesse il sopravvento quella privata. Peccato che in questa fase pandemica quella privata ha preferito in molti casi non volerci entrare se non a fronte di cospicui finanziamenti pubblici. Gli esempi non mancano anche in Sardegna. Parallelamente è stata indebolita la figura del medico di base, primo importante e capillare presidio per le cure domiciliari. Fondamentali, a quanto pare, anche per il trattamento tempestivo dei malati Covid al fine di contrastare l’evoluzione della malattia nelle complicanze più gravi. Un disastro su tutti i fronti aggravato dalla mancanza di un piano pandemico nazionale, altra gravissima negligenza.


Siamo davanti alla dittatura dei dati, perché non siamo in grado di controllare come vengono prodotti e gestiti. Accade tutto senza un contraddittorio democratico con diritto di rappresentanza. Basta pensare che le principali aziende che gestiscono le piattaforme informatiche sono tutte americane e se ne guardano bene da rilasciarli come entità pubbliche. Fare affidamento ai dati senza avere la certezza di come sono stati raccolti e prodotti significa accettare il rischio di compromettere e indebolire lo stato democratico trascinando nel macero la stessa Costituzione. Siamo consci del rischio che stiamo correndo? Possiamo davvero pensare che aziende private, che hanno visto crescere i loro profitti durante il periodo della pandemia, si antepongono sempre il “bene comune”?


E questo fenomeno sarà sempre più presente e radicato nella governance della società presente e futura.

Prenderemo sempre di più decisioni basate sui dati e questo non è un male se siamo ragionevolmente certi della loro bontà. Potrebbe diventare mortale il contrario.

Ne sa qualcosa la Boeing che a causa di un errore nella rilevazione dei dati dei sensori di bordo il computer di bordo del 737 Max ha ammazzato centinaia di persone.


Se vogliamo tutelare la forza della democrazia dobbiamo essere consapevoli che serve garantire la massima trasparenza dei dati che servono a determinare le decisioni politiche che toccano i cittadini e le imprese. Per tutelare i modelli democratici avanzati, come il nostro, è indispensabile mettere in atto i necessari anticorpi composti da persone competenti in scienze matematiche, informatiche, statistiche, umanistiche, affinché non ci ritroviamo a breve ad essere amministrati da un algoritmo che giustifica ogni cosa in nome di un bene comune. Inoltre agire per il “ bene comune” non può autorizzare, senza alcun contraddittorio, la cancellazione delle libertà di scelta del singolo ed oggi invece questo sta rischiando di accadere.

Oggi è il Covid-19, domani potrà essere un altro elemento che mette pericolosamente in discussione le nostre libertà personali riducendo la capacità di sviluppare le peculiarità proprie dell’uomo che si esplicano grazie alla interazione sociale.


Ringrazio Giulia Loglio che ha collaborato per la stesura di questo post

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